Sugarland Express
(USA/1974) di Steven Spielberg (110')
Precede: IL NASCONDIGLIO DEL TEMPO (Italia/2021) di Cesare Bastelli (16')
SUGARLAND EXPRESS
(USA/1974) di Steven Spielberg (110')
Regia: Steven Spielberg. Soggetto: Steven Spielberg, Hal Barwood, Matthew Robbins. Sceneggiatura: Hal Barwood, Matthew Robbins. Fotografia: Vilmos Zsigmond. Montaggio: Edward M. Abroms, Verna Fields. Scenografia: Joe Alves. Musica: John Williams. Interpreti: Goldie Hawn (Lou Jean Poplin), Michael Sacks (Maxwell Slide), William Atherton (Clovis Poplin), Ben Johnson (capitano Tanner), Gregory Walcott (Ernie Mashburn), Steve Kanaly (Jessup). Produzione: Richard D. Zanuck, David Brown per Zanuck/Brown Company. Durata: 110’
Copia proveniente da Universal Studios per concessione di Park Circus
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Richard Zanuck e David Brown erano entusiasti dello script, ma, avendo la Universal una parte importante nella realizzazione, dovettero sentire anche la voce di Wasserman, capo dello Studio nonché della MCA, la produttrice televisiva della casa cinematografica. L’obiezione di Wasserman merita attenzione perché implica un serio discorso critico e non solo commerciale. Egli disse ai due produttori che ormai i tempi allegri degli eroi erano finiti nel cinema americano: lui aveva stima di Spielberg e lo script era buono, ma non c’era da farsi illusioni. […] È vero che (come afferma Spielberg medesimo), essendo uscito lo stesso anno di La rabbia giovane di Malick e Gang di Altman, soffrì di tale vicinanza (secondo Spielberg le varie recensioni potevano essere intercambiabili). È anche vero, però, che i tre film ‘contemporanei’ avevano tutti, singolarmente, personalissime frecce al loro arco: solo una critica superficiale poteva accomunarli. […] Girato per quasi tutta la sua lunghezza on location sulle strade texane, Sugarland Express è un road movie, uno di quei film in voga in USA già dalla metà dei Sessanta ma in realtà genere in auge sin dai tempi di Accadde una notte e I dimenticati. Tuttavia, questa volta la strada e la storia connessa hanno significati diversi. Non siamo più di fronte agli apologhi protestarari tipo Easy Rider e Punto zero. Sugarland non intende accattivarsi le simpatie turistiche del pubblico internazionale né sfornare esemplificazioni sensazionalistiche sulla violenza americana, né tanto meno allegorizzare istanze sociali. In un certo senso tutto questo è presente, ma in modo da trascendere i singoli, collaudati modelli, e sempre — anche nei morceaux di tragedia — con una punta di personale ironia. […] Visivamente siamo lontani dall’oleografismo turistico di un Easy Rider. Spielberg ha un senso perfetto, raffinato della composizione dell’inquadratura, e non c’è nulla di semidocumentaristico in questa pellicola che è purtuttavia anche un documentario sull’America.
Franco La Polla