I diari della motocicletta
(Diarios de motocicleta, Argentina-Brasile-Cile-Perù-USA/2004) di Walter Salles (126')
Regia: Walter Salles. Soggetto: da Latinoamericana di Ernesto Guevara e Un gitano sedentario di Alberto Granado. Sceneggiatura: José Rivera. Fotografia: Eric Gautie. Montaggio: Daniel Rezende. Scenografia: Carlos Conti. Musica: Gustavo Santaolalla. Interpreti: Gael García Bernal (Ernesto ‘Che’ Guevara), Rodrigo de la Serna (Alberto Granado), Mercedes Morán (Celia de la Serna), Jean-Pierre Noher (Ernesto Guevara Lynch), Susana Lanteri (zia Rosana), Mía Maestro (Chichina Ferreyra). Produzione: South Fork Pictures, Filmfour, Tu Vas Voir Productions, Senator Film Produktion. Durata: 126’
Copia proveniente da Park Circus
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Serata sostenuta da Publierre
L’idea di fare un film dai diari di ‘Che’ Guevara ragazzo è stata di Robert Redford che se ne era innamorato. Io non osavo neppure avvicinarmi a quello che considero il territorio sacro della storia sudamericana. Poi, nel 1999, dopo Central do Brasil, ci siamo decisi, sapendo che questo film ci avrebbe preso l’anima, perché si poteva realizzare solo percorrendo lo stesso viaggio di Guevara e Granado, nelle stesse condizioni, tanto da cambiare la nostra vita come cinquant’anni fa cambiò per sempre quella dei due ragazzi.
Walter Salles
A 23 anni Ernesto, studente di medicina specializzando in lebbrologia, e l’amico Alberto, ventinove anni, biochimico, lasciano Buenos Aires e le loro famiglie benestanti e partono con la moto perché si accorgono di saper molto dei miti greci e niente del loro immenso continente. Viaggiano come viaggiavano allora, anche in Europa, i giovani, sprezzanti del denaro, rifiutando ogni comodità. Spesso non mangiano e non sanno dove dormire, ma, scrive Ernesto “non siamo così scannati da non permetterci altro, però dei viaggiatori del nostro stampo morirebbero piuttosto che pagare la comodità di una pensione. Poi il servizio lebbrosi ha deciso di mantenerci…”. Il viaggio agli inizi ha tutta la spensieratezza giovane: avventura, motocicletta, ragazze, risate, cadute, marce interminabili con il sacco in spalla, scenari stupefacenti, ignoti e vuoti, grandi laghi, impervie montagne, praterie, ghiacciai, deserti, rovine archeologiche, città, Santiago, Machu Picchu, piogge torrenziali, gelo, umidità soffocante. La felicità di condividere un’amicizia virile, la pena degli attacchi d’asma che soffocano Ernesto. […]
Walter Salles, autore del superpremiato Central do Brasil, senza mai accennare ad eventi politici, riesce a portare Ernesto e Alberto, e gli spettatori, dalla spensieratezza alla consapevolezza, dalla voglia di avventura al bisogno di politica, dal disimpegno alla militanza. […]. La sapienza di Salles è quella di non fare del bel giovanotto un santino, ma di fargli vivere tutti gli slanci, e i dubbi, e le ansie, e i sogni di una giovinezza d’epoca che sente di non avere che una strada, un futuro, quello di votarsi agli altri, che in Sudamerica vuole dire alla rivoluzione. Che, ovviamente, ci viene risparmiata. Ernesto sale su un aereo-cargo e torna in Argentina (e solo più tardi in Messico incontrerà Castro e il suo destino). Sappiamo che Alberto si fermò in Venezuela dedicandosi alla cura dei lebbrosi. Si incontreranno di nuovo otto anni dopo e il Che convincerà l’amico ad andare a vivere a Cuba. Il film si chiude su una serie di fotografie della loro bella giovinezza, sul volto vecchio e intenso di Granado. È stato lui a dire recentemente: “Mi sembra logico che in un contesto ostaggio del mercato, delle menzogne di chi ha il potere, del rifiuto dell’utopia, il suo pensiero torni d’attualità, frantumando il tentativo del mercato stesso di trasformarlo in un gadget, nell’immagine stereotipata del guerrigliero sconfitto o in un simbolo fuori tempo”.
Natalia Aspesi