C’era una volta in Bhutan
(The Monk and the Gun, Bhutan-Taiwan-Francia-USA-Hong Kong/2023) di Pawo Choyning Dorij (107')
Bhutan 2006. Il re rinuncia a parte dei suoi poteri decidendo di indire per la prima volta elezioni democratiche. Alcuni funzionari statali vengono mandati nei villaggi per spiegare direttamente le dinamiche elettorali. In uno di essi un Lama decide di dotarsi di almeno un fucile per 'mettere le cose a posto'...
- Festa del Cinema di Roma 2023, Premio Speciale della Giuria.
La modernizzazione del Bhutan - "L’innocenza è un valore e un tema così importante dell’essere bhutanesi e purtroppo in questo cambiamento verso un paese più moderno e più istruito, si sta perdendo, perché sembra che la mente moderna non riesca a distinguere tra ‘innocenza’ e ‘ignoranza’. Uno dei motivi principali per cui ho voluto raccontare questa storia è perché volevo condividere con il mondo, e ricordare ai miei connazionali bhutanesi le circostanze uniche che portano all’apertura e alla modernizzazione del Bhutan", spiega il regista Pawo Choyning Dorji.
Tgcom24
Un prodotto audiovisivo, parimenti da esportazione e rivolto e pubblico e mercato interno, che s’interroga sui dilemmi nuovi e antichi con uno sguardo fresco e “innocente”.
Dorji, anche sceneggiatore, riesce a narrare vari accadimenti in parallelo seguendo i suoi personaggi attraverso schemi e strutture narrative consolidate, ma anche riproposte attraverso lo stupor mundi che i suoi personaggi mostrano di provare verso i nuovi arrivi nella comunità, che siano questi una scheda elettorale o un fucile ottocentesco proveniente dall’epoca della guerra civile americana.
E sono proprio gli Usa il termine di paragone per ogni opposizione e per ogni quesito a cui si tenta di dar risposta: si può importare la democrazia in un Paese che non si rivela pronto e che non ne avverte il bisogno? Un sistema democratico è un valore aggiunto di per se stesso? Si può mediare tra l’affrancarsi da sistemi sociali arcaici (e patriarcali) e il mantenimento della propria identità e cultura specifica?
Un piccolo film, quindi, con grandi ambizioni, e che attraverso un tono leggero e profondo insieme dispiega un arco narrativo compiuto e che si chiude senz’ambiguità alcuna, in perfetta concordanza con la cultura buddhista.
In un’opera che tiene insieme e compenetra vari aspetti, la difficoltà economica del vivere in città, la fascinazione verso l’Occidente e il suo soft-power comunicativo, la difesa delle tradizioni, la necessità di dare alle nuove generazioni nuove opportunità di vita, la sintesi che riesce a trovare Dorji porta ogni linea narrativa a felice conclusione, ed anche nel e dal lieto fine.
Donato D’Elia, Quinlan