8 luglio 2021, 21:45
@ Piazza Maggiore e LunettArena

Barry Lyndon

(USA-Regno Unito/1975) di Stanley Kubrick (184') | Introduce Natalia Aspesi

Regia e sceneggiatura: Stanley Kubrick. Soggetto: dall’omonimo romanzo di William Makepiece Thackeray. Fotografia: John Alcott. Montaggio: Tony Lawson. Scenografia: Ken Adam. Costumi: Ulla-Britt Söderlund, Milena Canonero. Interpreti: Ryan O’Neil (Redmond / Barry Lyndon), Marisa Berenson (Lady Lyndon), Patrick Magee (il cavaliere di Balibari), Hardy Kruger (capitano Potzdorf), Steven Berkoff (Lord Ludd), Gay Hamilton (Nora Brady). Produzione: Stanley Kubrick, Hawk Films per Peregrine per Warner Bros. Durata: 184’
Copia proveniente da Park Circus

Per Barry Lyndon ho creato un vastissimo archivio iconografico di disegni e di dipinti presi da libri d’arte. Queste figure servirono come punto di riferimento per tutto quello che avevamo bisogno di creare: vestiti, suppellettili, arnesi, strutture architettoniche, veicoli, eccetera. Una buona ricerca è assolutamente indispensabile e mi diverte farla. Si ha un motivo importante per studiare un certo argomento con una profondità maggiore di come l’avreste studiato altrimenti, e si ha inoltre la soddisfazione di utilizzare quelle conoscenze acquisite per un buon fine immediato. Mi ci volle un anno per preparare Barry Lyndon prima di passare alla lavorazione, e credo che sia un tempo assai ben speso. Il punto di partenza e la conditio sine qua non di qualsiasi vicenda storica o fantascientifica consistono nel farvi credere in quello che vedete.

Stanley Kubrick

Le perfezionatissime lenti Zeiss, portato tecnico della tecnologia spaziale, servono (come Carbonio 14 fotografico) per riprodurre la luce di un’epoca passata, nei numerosi interni fotografati alla sola luce delle candele. Una luce ‘magica’, inedita (è la prima volta al cinema che viene compiuto tale exploit, sognato e avvicinato per anni da Kubrick), una novità tecnica percepita sensibilmente dal pubblico. Nello stesso tempo, un’operazione più che mimetica, o mimetica due volte, oggettivamente e soggettivamente, perché Kubrick riproduce anche il tentativo (fino a oggi riuscito molto più alla pittura che al cinema) tipico dei pittori inglesi citati, di ‘ridare’ esattamente la sfumatura luminosa, il dettaglio luministico del reale. […] Per Moravia, “Kubrick poteva scegliere tra due strade: quella realistica cioè degli ambienti come erano realmente; oppure quella degli ambienti come il Settecento, attraverso la sua arte, ci fa capire che avrebbe voluto che fossero. Ha scelto quest’ultima strada e ne è venuta fuori una galleria di dipinti di autori inglesi dell’epoca... cioè di pittori che hanno espresso il sogno di razionalità, di ordine, di grazia, di nitore, di sensibilità e di compostezza di un secolo demoniaco, sudicio, cinico, empio, insensibile e turbolento". Poco importa che tutti gli ambienti e le scenografie del film siano originali, poco importa che molti esempi di architettura (non solo inglese) del Settecento siano ancora ben visibili, per quanto onirici. Loro, gli ingenui, sognavano, e noi oggi con la fede della coscienza storicista sappiamo come andavano le cose. [...] Il discorso è se mai quello – kubrickiano –  dell’ambiguità dell’immagine (e del piacere), per cui, nel quadro come nel film, la figura del reggimento in movimento è suggestiva e ‘bella’, anche se il volto del soldato è triste stupido o angosciato. Quanto alla riproduzione dell’illuminazione d’epoca, non si può più pensare che la ricostruzione degli aspetti visivo-percettivi di un passato sia meno importante, per averne la storia e l'interpretazione, del racconto delle azioni di un personaggio o di un gruppo sociale.

Enrico Ghezzi

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