copertina di Ariaferma
16 luglio 2023, 21:45
@ Piazza Maggiore

Ariaferma

(Italia/2021) di Leonardo Di Costanzo (117') | Introduce Leonardo Di Costanzo

Il carcere di Mortana nella realtà non esiste: è un luogo immaginario, costruito dopo aver visitato molte carceri. Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva, tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti. Di fronte a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. E proprio questo senso di spaesamento ha guidato la realizzazione del film: Ariaferma non è un film sulle condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere.
Leonardo Di Costanzo


Ariaferma racconta, nel chiuso ambiente reale che è quello di un carcere dismesso, come per pochi giorni, nella provvisoria assenza della direttrice, amministrarne la quotidianità spetti al capo delle guardie, che deve vedersela con le insoddisfazioni e le irrequietezze dei reclusi, comprese le loro interne differenze e tensioni, e con i pregiudizi e i timori delle guardie. […]
Nella minuziosa narrazione dei piccoli contrasti e dei comportamenti dei rappresentanti dei due fronti (senza nulla concedere a tanti abituali psicologismi e sociologismi, letterari e giornalistici e anche politici) è procedendo per tocchi narrativi senza enfasi, talora quasi inavvertibili, che nasce la sottile tensione di un racconto che accenna o mostra differenze e somiglianze, culture e pregiudizi meno distanti tra loro di quel che può sembrare sia nelle morali di gruppo (nei pregiudizi, infine) sia personali, caratteriali.
Lo scioglimento della tensione avverrà nella scena madre del film, quando nel carcere salta l’impianto della luce nel mezzo di una bufera, e qualcuno proporrà che, invece di cenare cella per cella, si uniscano i tavolini d’ogni cella in una tavola comune nella grande e rotonda sala centrale su cui tutte le celle affacciano, isolate da sbarre. È questa una delle scene destinate a restare nella memoria degli spettatori e nella storia del nostro cinema.
Per piccoli tocchi, i carcerati – con le loro differenze anche estreme – e i carcerieri – con i loro diversi caratteri e i diversi modi di intendere il proprio dovere, o mestiere – riconoscono e vivono la loro comune umana natura, la necessità e la bellezza di un dialogo, e c’è in questa bellissima scena una sorta di aura religiosa, anzi evangelica, da ‘Cena’ non solo cristiana, ma anche, mi sembra, utopicamente socialista…
Oltre le differenze e le ingiustizie fatte o subite, c’è il riconoscimento di una comune condizione umana, della comune sudditanza a un ‘sistema’. C’è qualcosa che assai raramente abbiamo visto nel cinema, anche in quello classico (ma allora in registi come Dreyer e Buñuel, Dovženko e Tarkovskij, Rossellini e Pasolini e De Seta, Mizoguchi e l’Ichikawa dell’Arpa birmana).
Goffredo Fofi