L’ultimo imperatore
(Italia/1987) di Bernardo Bertolucci (160')
Introduce il produttore Jeremy Thomas
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Con L’ultimo imperatore [Bertolucci] firma insieme uno spettacolo magnifico e un film totalmente personale. Una delle chiavi della sua riuscita è che, malgrado le tante comparse, L’ultimo imperatore rimane un’opera intimista. Anzi, il film riposa su una doppia intimità: la prima, immediata, indispensabile e assai commovente, quella di Bertolucci con la figura di Pu Yi; la seconda, quella dello stesso Pu Yi con le persone, poche tutto sommato, che hanno condiviso questo o quel periodo della sua esistenza. (Questa solitudine forzata e sempre più sentita è d’altronde in gran parte il soggetto del film). […] Quando Bertolucci dichiara di non essere uno storico ma un narratore di storie, bisogna prenderlo alla lettera. Ciò che lo appassiona nel personaggio di Pu Yi è il movimento perpetuo tra permanenza e mutamento, perennità e cambiamento: perennità di una cultura millenaria, parassitata dai mutamenti della Storia e della cronaca. L’interazione tra perennità e mutamento rimanda alla manifesta fascinazione del regista per le figure del passato. A prescindere dello splendore della forma, c’è in lui qualcosa dell’ossessione viscontiana (dal Gattopardo a Gruppo di famiglia in un interno) per gli ultimi rappresentanti di una famiglia, di una casta, di una tradizione, di una cultura.
Conoscevamo il gusto e il talento del cineasta per filmare la bellezza dei corpi e dei décor, il suo culto delle luci sontuose e dei movimenti di macchina iperbrillanti. La Forma bertolucciana è più che elegante: è aristocratica. Una gigantesca felicità del cinema che ci ridà fiducia in certe superproduzioni, quando l’artista è abbastanza bravo, abbastanza astuto, abbastanza innamorato del suo soggetto per evitare di perdercisi ma per ritrovarsi in esso.
Alain Philippon
Penso alla storia di questo film come alla storia di una metamorfosi, di molte metamorfosi. Innanzitutto la metamorfosi di Pu Yi da imperatore a cittadino, da bruco a farfalla, da drago a giardiniere. Alla metamorfosi di un film di cinque ore televisivo che diventa un film per il cinema nel senso più classico del termine. Infine alla metamorfosi ‘in progress’ della Cina nel 1986.
Ci arrivano notizie da là, pare che il ‘magic moment’ si sia interrotto. Ma io non credo mai alla stampa occidentale sulla realtà cinese e credo ancora meno alla stampa cinese sulla realtà cinese. Comunque durante la preparazione e la lavorazione del film la Cina ha vissuto un processo di metamorfosi incredibile e questo mi ha aiutato molto: era come verificare ogni giorno nella realtà l’idea base del film, il cambiamento di Pu Yi specchiato nel quotidiano collettivo.
Bernardo Bertolucci
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Presentando la cartolina, ingresso ridotto alle mostre Bologna fotografata e Bar Luna